Almaviva Contact non arretra la sua posizione sui 1666 licenziamenti, mentre i lavoratori chiedono di riaprire la trattativa. Nella giornata di ieri, infatti, 1100 lavoratori hanno partecipato ad un referendum, indetto presso la sede della Cgil di Roma e Lazio, che ha ribaltato, con 590 voti favorevoli e 473 contrari, la decisione presa dalle rappresentanze sindacali, che rifiutarono un accordo con l’azienda, che avrebbe tagliato gli stipendi. I delegati sindacali della Capitale, infatti, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre scorso, a differenza dei colleghi napoletani, hanno respinto l’intesa firmata al Ministero dello Sviluppo Economico, che avrebbe previsto la cassa integrazione per tre mesi (gennaio a zero ore, febbraio al 70%, marzo al 50%) e la garanzia di arrivare ad un accordo entro il 31 marzo 2017, che però avrebbe portato ad una decurtazione dei salari e del costo del lavoro.
Nessun ripensamento, quindi, da parte di Almaviva che, in una nota, dichiara: “In linea con quanto sempre dichiarato e preso atto del pronunciamento unitario delle rappresentanze sindacali, dal 22 dicembre il sito operativo di Roma ha cessato ogni tipo di attività. Nessun passo indietro dunque. I licenziamenti proseguiranno: “Dopo 75 giorni di trattativa, nel rispetto di tempi e modi definiti dalla legge, il 22 dicembre si è conclusa la procedura di licenziamenti collettivi con la firma di un’intesa sulla base della proposta di mediazione del Governo. In quel contesto, le rappresentanze sindacali della sede di Roma, le uniche legittimate alla firma, si sono rifiutate all’unanimità di sottoscrivere l’accordo dichiarando ufficialmente di seguire il mandato delle assemblee dei lavoratori”.
L’azienda prosegue sottolineando l’impossibilità di riaprire la trattativa in quanto al di fuori di quanto previsto dalla legge. “Oggi, – prosegue Almaviva – solo chi non conoscesse la normativa o pensasse di ignorarla potrebbe ritenere di riaprire un procedimento formalmente concluso e sottoscritto dalle parti congiuntamente ai competenti rappresentanti dei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro. La norma, infatti, passati i 75 giorni di procedura volta a ricercare ogni strada possibile per arrivare ad un’intesa, non dà spazio a possibilità di ripensamenti successivi, né consente eventuali integrazioni o modifiche al testo d’accordo. L’ipotesi di attivare una trattativa supplementare, oltre che fuori da ogni logica ed in contrasto con il mandato di rappresentanza sindacale dichiarato, risulta inoltre legalmente e tecnicamente impossibile perché invaliderebbe l’intera procedura conclusa con la mediazione del Governo”.
Sulla questione interviene anche Marco Del Cimmuto, segretario nazionale Slc Cgil, il quale commenta le parole con cui Almaviva Contact dichiara la propria indisponibilità a modificare l’accordo. “Soltanto chi è miope o accecato da sentimenti vendicativi nei confronti dei propri lavoratori, può ignorare quanto emerso dalla consultazione dei dipendenti Almaviva di Roma: un passaggio democratico dovuto su una vicenda drammatica che soltanto un’intesa raggiunta a sirena già suonata (l’accordo è stato firmato alle ore 03.00 del 22 dicembre) ha impedito come invece sarebbe stato naturale essere.”
“Come si può non capire, di fronte ad oltre 1600 licenziamenti, quanto sia naturale che vi possa essere una consultazione democratica che permetta ai diretti interessati di esprimersi liberamente? – prosegue il sindacalista.
“Ci auguriamo che Almaviva riveda la propria posizione, e ci appelliamo anche alle istituzioni affinché garantiscano il rispetto di un diritto di base dei lavoratori; diversamente l’azienda porterà la grave responsabilità dei propri atti con gli inevitabili riflessi negativi anche sulla operatività del già difficile tavolo previsto dall’intesa del 22 dicembre.”
“E’ sconcertante come non vengano considerate le ripercussioni sociali di oltre 1600 licenziamenti, fra cui si annoverano numerose famiglie composte da dipendenti dell’azienda: una tragedia annunciata e resa ancora più grave da un contesto produttivo ed occupazionale locale non favorevole. Le istituzioni, in primis il governo non possono ignorare le persone coinvolte. I processi democratici non possono spaventare né diventare alibi per licenziare – conclude Del Cimmuto“.
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