di Francesco Amato
È ancora in corso la pandemia del Covid-19, che ormai da un mese ci tiene rinchiusi nelle nostre case. Secondo i dati diramati ogni giorno dalla Protezione Civile, attualmente sono 94 mila le persone risultate positive al tampone, e 17 mila i morti a causa del coronavirus. Rimane la Lombardia la regione più colpita, con circa un terzo dei contagiati, ma il virus è arrivato in ogni parte del territorio nazionale.
Sono altri, però, i numeri che fanno davvero paura. Quelli, per esempio, pubblicati dal Corriere della Sera. In Italia, infatti, all’inizio del 2020 ci sono 5179 posti letto in terapia intensiva, 8,6 ogni 100 mila abitanti. Molti meno dei 12,5 ogni 100 mila abitanti di soli 8 anni fa. E meno, certamente, di Austria e Germania, dove nel 2012 potevano contare su oltre 20 posti in terapia intensiva ogni 100 mila abitanti.
È il frutto di una politica sanitaria giocata al ribasso. Nel 2017, mentre l’Italia spendeva poco più di 1800 euro a persona per la sanità, Francia e Germania ne spendevano il doppio. Un continuo di tagli perpetrati dai vari governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi negli ultimi anni, che non hanno fatto altro che prendere a picconate la scuola e la sanità, due settori centrali per la vita di un Paese.
In valori assoluti, la spesa sanitaria appare aumentata. In realtà, però, i 71 miliardi del 2001 corrispondevano al 7% della ricchezza nazionale, mentre i 105 miliardi di oggi equivalgono invece al 6,6%. Un taglio dello 0,4% del PIL operato a partire dal governo Berlusconi IV nel 2010 e continuato dai successivi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Conte bis.
Secondo la Fondazione Gimbe, infatti, il finanziamento del sistema sanitario nazionale è aumentato, ma di una percentuale inferiore a quella dell’inflazione. Per non parlare di 37 miliardi messi in bilancio ma non erogati a causa delle varie manovre finanziarie e per altre esigenze di finanza pubblica. Fondi che, dunque, non hanno compensato la cifra calcolata per il fabbisogno nazionale. Si tratta di notevoli colpi di cesoia alla sanità pubblica. 8 miliardi sottratti alla sanità dal governo Monti, 8,4 da Letta e 16,6 da Renzi. 3,1 miliardi, infine, sono stati tagliati da Gentiloni e 0,6 da Conte.
È evidente che, al calo dei fondi destinati alla sanità, scendano anche i posti letto disponibili negli ospedali italiani. Se nel 1998 gli ospedali erano 1381 e potevano offrire 5,8 posti ogni mille abitanti, nel 2007, secondo l’annuario statistico, i posti disponibili ogni mille abitanti erano 4,3 per 1197 strutture ospedaliere. I dati del 2017, infine, mostrano un ulteriore calo di quasi 200 istituti sanitari per cui sono disponibili solo 3,6 posti letto ogni mille abitanti. Inoltre, nel 1998 le strutture private convenzionate rappresentavano poco meno del 40%, mentre nel 2017 la metà degli ospedali sono privati. Non solo, dunque, sono diminuiti i posti letto, ma sono anche aumentati quelli delle strutture convenzionate, che non erogano tutti i servizi, tra cui, ad esempio, la terapia intensiva.
Ed è proprio la terapia intensiva che in queste ultime settimane si sta dimostrando carente. Dovendo urgentemente provvedere all’acquisto di nuovi ventilatori, dopo che molti medici sono stati costretti a dover decidere chi sottoporre al trattamento e chi no. Una scelta terribile, dovuta anche a questi ingenti tagli alla sanità pubblica. Tagli effettuati, come evidenziano i dati, per lo più da governi di sinistra. Quella stessa sinistra che per anni ha portato avanti battaglie a favore dell’eutanasia e della morte, considerando strumenti di tortura i respiratori artificiali. E una sinistra a causa della quale da un mese siamo costretti agli arresti domiciliari per consentire al sistema sanitario di non collassare.
C’è un’altra pandemia, quindi, che fa ancor più danni del coronavirus. È il virus della mala politica e di una pessima gestione della sanità, vittima innocente delle più assurde politiche di austerity. Intanto molti continuano ad ammalarsi, e molti altri sono costretti a non lavorare. E, se lo Stato non si decide ad intervenire seriamente una volta per tutte, ad un mese dal totale lock-down, finiranno per non avere più di cosa mangiare.
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