La faccetta lacrimosa di Greta, le proteste “urbi et orbi” dei giovani di mezzo mondo, hanno portato repentinamente alla ribalta il mai sopito problema del dissesto ambientale, oggi incarnato dal problema del riscaldamento globale e dei pericoli ad esso connessi.
Ad esser sinceri, non è certo la prima volta che il tema dell’ecologia “si et si”, viene affrontato con modalità molto più virulente e decise (basterebbe ricordare gli scontri negli anni ’80 per la centrale di Montalto di Castro ed il referendum sul nucleare, sic!), o ancora, senza voler risalire troppo addietro, anche nella versione di una pubblicistica di denuncia, come nel caso di “Primavere silenziose” pubblicato nel 1962 dalla biologa americana Rachel Carson. Contro tutte le migliori aspettative, però, il problema è rimasto lo stesso, andandosi, anzi, ad aggravare notevolmente negli ultimi decenni. Potrà sembrare strano ai più, ma quello dell’ecologismo è divenuto il “cavallo di Troia” dei Poteri Forti del Globalismo, ovverosia di coloro che, grazie allo smodato ed indiscriminato sfruttamento delle risorse del pianeta, si sono arricchiti e continuano tuttora ad arricchirsi sulle spalle dei popoli che, al contrario, del degrado globale subiscono in primis le conseguenze.
Questo fatto ha origini antiche e più precisamente risale al periodo tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo, appena trascorso. Il geniale Thomas Edison, già nel 1899, aveva progettato e realizzato un’automobile a trazione interamente elettrica. I suoi studi proseguivano con successo, sino all’incontro nel 1912 con l’industriale Henry Ford, propugnatore di un’automobile il cui motore era invece alimentato da combustibile liquido. Questo episodio simboleggiò ciò che, in modo più esteso e complesso, si stava in quegli anni, verificando.
La Gran Bretagna al pari degli Usa aveva iniziato a buttar gli occhi sui giacimenti petroliferi della penisola arabica, sin dai tempi del proprio dominio coloniale su Aden e sullo Yemen. In quegli anni, tutte le grandi potenze coloniali europee, al pari della nascente potenza Usa, avevano percepito le potenzialità economiche derivanti dallo sfruttamento dell’oro nero su scala globale. E così fu. La scelta dell’elettricità fu accantonata in favore delle prospettive di guadagno ingenerate dallo sfruttamento petrolifero.
Ora, noi sappiamo benissimo in quali mani sta la produzione e la distribuzione dell’ “oro nero”, come sappiamo pure che, il problema dell’inquinamento dovuto all’emissione di vapori tossici sia da parte di autoveicoli privati che di complessi industriali, al pari di altre forme di inquinamento (alimentare, chimico, radioattivo, da plastica, etc.) potrebbero esser già state tranquillamente risolte, con largo anticipo rispetto ai tempi odierni, proprio a causa della grande varietà di innovazioni tecnologiche prodotte negli ultimi sessant’anni e per lo più sottaciute e sottovalutate. Per quanto strano, però, possa apparire, il problema del dissesto ambientale non è esclusivamente legato ad un fattore prettamente tecnologico, bensì ad uno di impostazione generale, di coordinate di pensiero, i cui effetti successivamente si riverberano su tutti gli altri ambiti, tecnologico incluso.
La Tecnica è, di per sé, neutra. Essa dovrebbe assumere, assieme all’Economia, una valenza di mezzo in grado di soddisfare alle più fondamentali necessità materiali umane. Ed invece no. Essa si è eretta a vero e proprio fine, ingenerando una fase della nostra civilizzazione che possiamo tranquillamente definire Tecno-Economica, per cui ad ogni innovazione tecnologica deve giocoforza corrispondere un risultato economico. Con la conseguenza che il primato della Politica (quale scienza dell’interesse della Polis/ Comunità) è stato sostituito da quello economico e più precisamente da gruppi di potere finanziario che, grazie alla progressiva resa della politica, stanno assumendo l’effettivo controllo del mondo intero, attraverso sia il controllo della finanziarizzazione dell’economia mondiale, ovverosia l’emissione di titoli cartacei dal nulla a cui è stato attribuito valore arbitrario, sia attraverso la progressiva limitazione della sovranità degli stati e delle loro economie, tramite accordi-cappio internazionali.
Ora il tanto lamentato degrado ambientale, non può che esser ricondotto a queste cause primarie. Sconfiggere il Globalismo neoliberista significa sconfiggere anche il degrado ambientale. Ma i nostri ecologisti da strapazzo, telecomandati e lobotomizzati come la subnormale ed autistica pupattola svedese Greta, sembrano non avvedersi di tutto ciò. Loro chiedono tecnologie pulite, fanno manifestazioni sponsorizzate da chissà-chi ed intanto distraggono l’opinione pubblica dalle vere cause del problema che risiedono nei piani alti di quel Sistema, che loro, con i loro gridolini, urletti, straccetti multicolori e “bella ciao”, ben si guardano dall’andare a toccare.
Rassegnamoci, dunque. Se qualcuno qui crede che a salvare il nostro povero e bel pianeta sarà Greta e la sua scalcinata banda di “minus habens” bellocci e fannulloni, allora statene pur certi, sarà catastrofe sicura! Solo attraverso il recupero di un forte senso dell’identità ed attraverso la riconquista della sovranità politica, economica, finanziaria e spirituale delle varie comunità nazionali e dei loro popoli sarà possibile invertire la disastrosa rotta impressa al mondo intero dal Globalismo neoliberista. Una battaglia politica e culturale che, sempre più, vedrà contrapporsi gli interessi dei popoli a quelli di elitari gruppi di potere, dalla gente sempre più lontani ed il cui esito, statene pur certi, sembra proprio non volgere a favore di questi ultimi.
La Storia ci ha, d’altronde, insegnato che, a cicli di stasi e di stabilità, fanno poi seguito cicli di instabilità, accompagnati ad istanze di profondo e radicale cambiamento, come quello che stiamo, or ora, iniziando a vivere. Con buona pace di coloro che, ancora credono e sognano una grigia e piatta “Fine della Storia”.
Umberto Bianchi
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