Conte, quando la politica si insinua in conferenza stampa

A Palazzo Chigi arrancano sulla comunicazione istituzionale, tra conferenze stampa notturne e decreti presentati su Facebook. Ora anche la polemica politica durante la presentazione di un nuovo decreto. E intanto ai cittadini arriva solo panico e confusione.

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Giuseppe Conte
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

di Francesco Amato

È dall’inizio dell’emergenza Coronavirus che il Governo Conte fatica a mettere in atto una comunicazione istituzionale chiara ed efficace. Tra conferenze stampa convocate in orari improponibili e decreti presentati in diretta Facebook ancor prima di essere firmati. Per non parlare delle bozze di decreti diffuse prima della stesura ufficiale e delle autocertificazioni che cambiano dall’oggi al domaniAnche a questa comunicazione così imprecisa è dovuta la confusione e il panico che si sono diffusi nelle scorse settimane. È il panico che porta a reazioni irrazionali. È per il panico che le persone si riversano nei supermercati, e che i fuorisede si riversano alla stazione con la speranza di poter tornare a casa.

In queste situazioni, una comunicazione chiara, precisa e diretta è quanto mai necessaria. I cittadini devono sapere con esattezza lo stato dell’emergenza e le norme a cui devono attenersi e per le quali possono incorrere in sanzioni. Così come devono sapere, in maniera chiara, le eventuali eccezioni e deroghe alle restrizioni. Eppure, dal Governo continuano ad uscire trovate quantomeno bizzarre.

L’ultima risale al 10 aprile scorso. Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha convocato una conferenza stampa per presentare il nuovo DPCM, che ha prolungato per un altro mese le misure restrittive già vigenti. Tra l’altro era stato anticipato che alcune attività commerciali – cartolerie, librerie e sanitarie, ad esempio – avrebbero potuto ricominciare a lavorare. Quindi ci si aspettava che il Premier desse tutte le delucidazioni al riguardo.

Effettivamente, Conte ha iniziato proprio così. Per poi cambiare argomento, e spostare l’attenzione sul tema che quel giorno, all’indomani dell’Eurogruppo, era balzato alla ribalta. Si tratta della paventata approvazione del MES, aspramente criticato da Salvini e la Meloni, rei, secondo Conte, di aver diffuso fake news al riguardo. È assolutamente legittimo che un Presidente del Consiglio smentisca le notizie false e dica le cose come stanno. Quello che è parso scomposto, però, è il modo, e soprattutto il mezzo, che ha utilizzato. Bisogna, infatti, distinguere due piani nella comunicazione pubblica: la comunicazione istituzionale e la comunicazione politica. Per salvaguardare la chiarezza e la limpidezza del messaggio che si vuole comunicare, è auspicabile che queste due dimensioni non vengano mai mischiate.

La comunicazione istituzionale è quella attraverso cui le istituzioni, di qualunque genere esse siano, si rivolgono ai cittadini per trasmettere informazioni che riguardano l’intera collettività. Cosa diversa è, invece, la comunicazione politica. Si tratta, infatti, di un messaggio che un esponente di un movimento politico rivolge ai propri elettori. È, quindi, per sua natura una comunicazione che divide, apprezzata da chi si ritrova in quella precisa linea politica e contestata da chi non vi si ritrova.

Giuseppe Conte può comunicare, legittimamente, in una duplice veste. Può rivolgersi ai cittadini come Presidente del Consiglio. Ma può certamente parlare anche come espressione delle due forze politiche di maggioranza. È evidente nelle conferenze stampa da lui convocate per presentare i decreti e le misure legate all’emergenza coronavirus, Conte parli in qualità di capo dell’esecutivo, chiamato a gestire in prima persona l’emergenza. È comunicazione istituzionale, e da quelle conferenze stampa ci si aspetta un messaggio chiaro, inequivocabile, imparziale, diretto a ciascun cittadino, che vuole essere informato su come deve comportarsi a partire dall’indomani.

E invece, proprio nell’ultima conferenza stampa, il discorso di Conte è sfociato in mera polemica politica. È a questa dimensione, infatti, che appartiene l’accusa nei confronti delle opposizioni, il “fare nomi e cognomi”. La conferenza stampa, peraltro trasmessa a reti (quasi) unificate, non è il mezzo opportuno per la polemica politica. Sarebbe stato meglio un post, un comunicato, un’intervista, che qualunque giornale avrebbe certamente ripreso. Così avrebbe dato alle opposizioni da lui criticate l’opportunità di un contraddittorio, di una replica, di una risposta, che in democrazia sono quantomai opportune.

Se proprio, anche per ragioni legate ad una evidente maggiore visibilità, il Premier non avesse potuto fare a meno di utilizzare la conferenza stampa, avrebbe dovuto farlo in un altro modo. Avrebbe potuto usare maniere più eleganti, ricordandosi di star vestendo i panni dell’uomo delle istituzioni e non dell’uomo politico. Avrebbe potuto smentire la fake news con i fatti, concentrandosi sui contenuti. Senza abbandonarsi alla sterile polemica, fuori luogo in quel contesto.

Del resto, anche l’effetto della comunicazione ne ha risentito. La notizia – ovvero che le restrizioni in atto continueranno fino al 3 maggio – è passata in secondo piano, sommersa dalla polemica sul MES e su Salvini e la Meloni. E dal dibattito che ne è nato di conseguenza, tra chi si è schierato a favore di Conte e chi invece ha deciso di schierarsi contro. Ha, insomma, reso divisiva la comunicazione istituzionale.

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