Coronavirus, dal Governo un decreto “Sfascia Italia”

Altro che "Cura Italia"... Dal Governo un "bazooka" da 400 miliardi che graverà sulle spalle dei cittadini, redditi fissi e piccole e medie imprese in primis.

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giuseppe conte
Il premier Giuseppe Conte

di Umberto Bianchi

All’insegna di un tono disgustosamente ed artatamente ridondante, ha avuto luogo la conferenza stampa del Presidente del Consiglio Conte e di alcuni ministri del suo team, annunciante il tanto atteso “bazooka” per le imprese italiane. Mai espressione fu tanto appropriata e felice, perché di un vero e proprio “bazooka”, ovverosia di una severa mazzata per le imprese ed i cittadini italiani, si tratta. I quattrocento miliardi di euro per le imprese, di cui il Presidente Conte ieri sera ha annunciato “urbi et orbi” l’erogazione, altro non sono che un colossale prestito, con sì una copertura di garanzia al 90% da parte dello Stato italiano, ma affidati alla gestione del sistema bancario. 

A questo punto, il gioco è bell’e fatto. Le imprese prenderanno soldi a prestito che, garanzia o no, prima o poi a quelle stesse banche dovranno restituire, con tanto di interessi. Pertanto, oltre al danno, anche la beffa. Non solo il governicchio giallo rosso ha dimostrato incapacità ed approssimazione nella gestione dell’epidemia, ma, dopo aver bloccato l’economia di un intero Paese procurando un danno incalcolabile, come unica uscita propone una cura peggiore del male: oltre al danno economico, pagare un sovrapprezzo alle banche per la rimessa a giro dell’economia. 

Altro, ma non irrilevante, punto. Nella foga dell’annuncio, non si è parlato del tasso di interesse che i soggetti interessati al prestito, dovranno versare alle banche; né si è parlato dei tempi di erogazione di quest’ultimo. Conoscendo le banche italiote e la loro modalità di agire, considerato il fatto che, con la scusa dell’epidemia, molta parte del personale lavora in sessione “smart working”, si può ragionevolmente immaginare che i tempi di evasione della miriade di pratiche di finanziamento saranno biblici. Il tutto senza voler considerare il non irrilevante problema della pressione fiscale. 

Il governo ci sta propagando soluzioni miracolistiche a buon mercato, dimentico che tutto questo ha un costo sulla tenuta dell’intero sistema-paese. Un costo che andrà via via ripagato attraverso un’adeguata pressione fiscale. Questo perché – non lo dimentichiamo – i soldi per sgarrare dal bilancio li sta già “de facto” prendendo da quell’Europa, da quella specie di circo equestre ad esclusiva gestione dei paesi del suo Nord, che non vede l’ora di stendere definitivamente le economie di Italia, Spagna e Portogallo, per in seguito farne rilevare, a prezzo di sconto, le aziende più strategiche. 

A questo proposito, tempo addietro, durante il solito talk show del venerdì sera, un più che lucido ed intellettualmente onesto Massimo Cacciari esprimeva le proprie perplessità rispetto al tanto propagandato “Salva Italia”. Prender soldi da qualcuno, Europa o banche che dir si voglia, è relativamente facile. Poi però qualcuno deve pagare. E, generalmente, questo qualcuno sono i cittadini, in primis i redditi fissi, seguiti, quasi alla pari, dalle piccole e medie imprese, di qualunque settore. Pertanto, qualcuno, già sussurra, in “camera caritatis”, di tassazioni patrimoniali ed altre simili amenità per le quali, il nostro paese può vantare una solida tradizione. 

A dare un’ulteriore valenza di beffa all’intero “Sfascia Italia” è il fatto che il ministro dell’Economia Gualtieri è in procinto di recarsi all’Eurogruppo di Bruxelles, ove si cercherà di portare l’Italia all’adesione al nuovo MES. Cosa, questa, che risulterebbe sì rovinosa, ma che, anche se non dovesse venir per ora accettata, non cambierebbe la realtà di quanto abbiamo prospettato. Il problema non sta, pertanto, nei piccoli aggiustamenti di bilancio in una direzione piuttosto che in un’altra ma, piuttosto, in un più ampio problema di impostazione. Gli Stati debbono ritornare alla sovranità monetaria, ovverosia alla capacità di produrre la propria valuta autonomamente, senza dover sottostare ai diktat di istituzioni bancarie o finanziarie varie. 

Un’istanza questa, sulla cui giustezza poco c’è da discutere ma che, al di là di facili entusiasmi, incontra non poche difficoltà di ordine pratico. Un  immediato abbandono dell’euro, creerebbe un momento di caos finanziario del quale farebbero le più immediate spese i cittadini ed i risparmiatori tutti. Pertanto, al fine di evitare una cura che, nell’immediato, si rivelerebbe peggiore del male, sarebbe necessario un approccio graduale, attraverso l’adozione di una fase economica di doppia monetazione, in cui l’Euro fungerebbe da divisa per le transazioni internazionali, mentre la nuova valuta nazionale, diverrebbe divisa corrente per le transazioni interne. 

Il tutto non senza ricollocare Bankitalia alle dipendenze dello Stato, al fine di nazionalizzare l’emissione della nuova valuta. Uno Stato che stampa in proprio la sua valuta corrente potrebbe permettersi di effettuare massicce immissioni di liquidità, in favore di quei settori maggiormente carenti, della vita economica di un paese, a fondo perduto, senza bisogno di far finire le proprie imprese, sotto il giogo usuraio delle banche. Né, tanto meno, vi sarebbe più bisogno di far ricorso ad una leva fiscale pesante ed oppressiva, per compensare quella spesa pubblica. 

Questo è, né più né meno, quanto vanno sostenendo varie scuole economiche non in linea con la dominante ed uniformante ufficialità. Rimane, purtroppo, l’amara sensazione di un’ulteriore, tragica beffa, giocata tutta sulla pelle di un popolo, quello italiano, costretto ad assistere impotente alla distruzione delle proprie risorse perché “qualcuno”, con la scusa di una mal gestita pandemia, ha deciso di mettere agli arresti domiciliari un intero popolo. Al di là di roboanti annunci e di discorsi commoventi, per ora nessuno ha visto soldi e l’economia italiana perde irrimediabilmente sui cento miliardi euro al mese, mentre il nostro esecutivo buonista sta valutando la simpatica idea di un bel regalo consistente in una cifretta di svariati miliardi di euro a quel fondo per la cooperazione e sviluppo, destinato ad imprese e stati stranieri. 

Nulla di nuovo all’orizzonte, dunque. Se qualcuno crede che saranno le belle parole pronunciate con tanta abile enfasi dal nostro Presidente del Consiglio a risollevare le sorti del nostro paese, non andrà proprio da nessuna parte. L’unico dato certo è quello di un popolo agli arresti domiciliari. L’unica soluzione in grado di rimettere in carreggiata un paese deve pertanto passare attraverso la riapertura delle attività economiche tutte, sicuramente con la gradualità e l’attenzione, accompagnate da quei necessari strumenti di prevenzione sanitaria individuale e collettiva, ma senza più ulteriori tentennamenti e rinvii, sine die. Stavolta, la posta in gioco non è più la maggiore o minore intensità di una qualsivoglia crisi economica, ma la tenuta e la sopravvivenza di un paese intero.

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