Dal Tramonto dell’Euro ora rischiamo il tramonto della Lega. Dove si va?

Non si possono più nascondere le vesciche dei militanti e degli elettori. Vogliamo una Lega "primatista" per governare il futuro, o "amministrativista" che si accontenta di gestire il territorio? Riflessioni per un partito che perde la rotta

1899
di Riccardo CORSETTO*
Riccardo Corsetto Direttore L’Unico
Quando compro delle scarpe, oltre che belle le cerco comode. Che sappiano adattarsi alla forma del mio piede e del mio passo. Nel 2018 entrai in Lega come un piede che si infila nella sua calzatura perfetta.
Inizio da tempo a sentire vesciche, e per questo pongo una riflessione che spetta ai vertici.
I motivi che mi indussero a entrare in Lega furono di tre ordini. Li elenco.
Il primo legato a linee di politica economica, monetaria e comunitaria così come riportate nel libro “summa” del Senatore Alberto Bagnai, “Il Tramonto dell’Euro”, insomma, in una parola, a quel sovranismo economico-monetario, che da Pound, passando per Federico Caffè approda a Borghi, unico “sovranismo” da cui possono derivare tutti gli altri.
Conoscete un individuo veramente libero e sovrano di se stesso che dipenda dalla paghetta o dalle tasche di qualcun altro?
Con gli Stati è più o meno la stessa cosa.
Il secondo motivo era di carattere volontaristico ed emotivo. Matteo Salvini aveva inaugurato una stagione in cui allo slogan seguiva la materializzazione plastica dell’azione politica, e tutti sono stati costretti ad ammirarlo – anche a sinistra – per la determinazione ferma nella gestione dell’immigrazione nei mesi in carica al Viminale.
Il terzo motivo era di carattere culturale.
“Prima l’Italia, o prima gli italiani” non è uno slogan votato ad un volgare e vuoto primatismo muscolare, né ad un agonistico ed edonistico esercizio di egoismo di popolo.
Doveva e deve essere semplicemente il buon senso di promuovere la eccezionalità e l’eccellenza italiana in patria, in Europa, nel mondo. Nei vari campi in cui esse si manifestano.
Un esercizio di coscienza e autocoscienza e non di esibizione estetica.
Così come la lotta all’immigrazione non la fondiamo sul mito della razza come vogliono i detrattori ma solo sul dovere di garantire rispetto per le regole e per la sicurezza interna e per la salute dei fondamentali economici di sistema.
Ecco perché tre anni fa entrammo in Lega.
Oggi devo prendere atto, così come molti elettori hanno fatto da tempo, che almeno due di questi tre elementi che hanno fondato la nostra “conversione” alla Lega nazionale e post-secessionista di Salvini – cosa assai lontana da quella regionalistica di Bossi – traballano pericolosamente.
E il nostro piede comincia ad avere delle vescicole nel proseguire il passo.
Ora l’obbligo è di prevenire il callo e capire se la scarpa può adattarsi all’anima del piede oppure va cambiata. Quando arriva il callo poi ci si può adattare a tutto. E non non amiamo adattarci, non amiamo abiurare alle nostre idee. La nostra lealtà è ferrea ma non incondizionata.
Un po’ di storia degli ultimi anni.
Salvini ne indovino’ una cui seguirono scelte meno felici.
L’alleanza con i 5 Stelle fu la sua perla. Allearsi col diavolo vestito da angelo per smascherarlo.
Alleanza su cui mai avrei scommesso e che alla vigilia mi diede e diede molti pruriti. Ma alla fine diede frutti immensi, perché da Ministro degli Interni noi potemmo con grande semplicità chiudere i porti come si chiude un rubinetto. Il consenso degli italiani crebbe per gratitudine e poi, grazie all’autolesionismo di una certa magistratura votata all’harakiri, crebbe a dismisura.
Qualcosa inizia dunque a incepparsi col famoso o famigerato Mojito.
Che qui cito solo ed esclusivamente per fissare un punto cronologico, utile a intenderci con chi ci legge, senza attribuire al superalcolico alcuna responsabilità oggettiva né intrinsecamente morale, come qualcuno sinistramente racconta.
Qualcosa però nel periodo del Mojito succede.
Il segretario nazionale stacca di lì a poco la spina al governo Conte 1 dimenticandosi che Renzi è sparito come forza politica ma non come politico, e dimenticandosi – primo errore – che la politica del Paese e nel Palazzo vivono e seguono logiche e numeri diversi.
Così se nel Paese è impossibile che Pd e grillini prendano anche solo un caffè assieme, nel Palazzo non solo questo caffè diventa possibile, ma diventa un governo alla bouvette.
Ora in questo primo errore del capo si innesta la relazione con la figlia di Verdini, una ragazza con un sorriso puro e sincero ma l’amore distrae e a volte indebolisce. È inevitabile e umano.
Non voglio credere e non ho mai creduto alla leggenda del suocero che dispensa consigli sbagliati, ma so dei consigli sbagliati dei consiglieri interni.
Non guardo mai nel buco della serratura e non mi piace affaccendarmi degli amori degli altri, però agli storici non potrà sfuggire che il temperamento politico di Salvini subisce virate all’indomani di questo fidanzamento. Non credo che le motivazioni siano assimilabili a fattori di debolezza psicologica come accadde nell’incontro di Gianfranco Fini con Elisabetta Tulliani, amore che comporto’ l’estinzione politica dell’ex delfino di Almirante, ma temo che gli esiti ai fini della corsa per il premierato possano sortire danni simili.
Del resto, non io che ancora faccio il tifo per Matteo, ma la maggior parte degli analisti concordano nel prevedere che Matteo Salvini, con la scelta di entrare nel Governo Draghi, e nella condotta a tratti bipolare su vaccini e green pass abbia definitivamente precluso a se stesso di occupare un giorno la sedia di Palazzo Chigi da premier. E la cosa mi fa rodere. Condannandosi in questo, Tulliani a parte, alla sorte di Fini. Predestinato e auto affossato.
Ma Salvini è ancora in tempo. E oggi ha fatto finalmente qualche strappo dando un colpo di coda, anzi alla coda del Draghi su Catasto, Imu e patrimoniali.
Basterà per ritornare al primato di un anno fa?
Sono fra quelli che se lo augurano, che ancora credono nella bontà del progetto, ma se il progetto muta rotta bisogna mettersi a tavolino e rifare il punto nave almeno su economia monetaria, politiche comunitarie e intendersi se nel contesto europeo si debba continuare la battaglia “primatista” (sovranista è termine fuorviante e vagamente “monarchico” che a mio avviso andrebbe progressivamente abbandonato per essere sostituito) oppure entrare nell’indistinta tribuna del centro destra europeo liberale e moderato che però non muove una critica all’Ue nel senso che ci fu proprio e nel quale saremmo dei pesci fuor d’acqua.
Che i governatori del nord che stimo per competenze, ma ancora in parte nostalgici dell’idea di Padania, abbiano avuto un ruolo nel mutamento antropologico di Salvini, o meglio lo abbiano distratto alla guida facendolo sbandare, (non fu certo per l’incolpevole Mojito) credo sia indubbiò ad analisti onesti. E Giorgetti cerca un nuovo grande centro che possa includere gente che noi consideriamo alieni come Calenda e forse pure Renzi, con lo scopo di fare l’ennesimo governo di intese a Palazzo benedetto da un Draghi al Colle. Un governo che a differenza di quello di oggi dovrà avere il 5 Stelle all’opposizione insieme alla Meloni e Matteo Salvini al guinzaglio. È progetto “democristiano” che ha una sua legittimità, colmare il vuoto lasciato da Berlusconi e che ne Alfano né Stefano Parisi riuscirono a colmare. Ma non è il nostro progetto! Noi siamo “primatisti”, anti Ue, ma a favore di una federazione dei popoli di Europa: Gli Stati federati.
Non è vero del resto che esistono due Leghe, al massimo c’è una Lega che ha i voti (Salvini) e una Lega che ha i soldi (Giorgetti). Ma con la cassa del partito e i rapporti non vai lontano e Giorgetti, ottimo lobbista, non è certamente un politico nel senso machiavellico del termine. È un pr. Una cosa un po’ diversa.
Ci si sbraccia a dire che la Lega è una sola e la cosa ci conforta, ma bisogna capire qual è questa Lega. Quella primatista nazionale o quella “amministrativista” che gestisce bene il territorio provinciale e regionale al nord ma non ha una visione internazionale, mondiale ed europea, che si accontenta di gestire il territorio senza governare il futuro dei nostri figli dalle Alpi a Lampedusa, passando per le isole, e che sta contribuendo a rafforzare le storture dell’Ue con atteggiamenti ambigui, trasformisti e votati all’abiura progressiva delle promesse e delle premesse che hanno mosso i nostri primi passi. È una risposta che non potrà attendere Natale.
Se dobbiamo continuare a camminare la scarpa deve essere almeno comoda.

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