Europa dei popoli o delle banche?

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La questione Ilva, l’ultima “spending revue”, i problemi del debito e del deficit, il nuovo ruolo nelle istituzioni europee di personaggi come Christine Lagarde, legata al Fmi, l’ipotesi Draghi alla presidenza della Repubblica, la questione “immigrati” ed altro ancora, rappresentano tutti aspetti di un unico e ad ora sottaciuto interrogativo su cui nessuno, vuoi per comodo adeguamento, vuoi per paura ed incertezza, vuole rispondere: ha ancora senso una comunità europea, così come  sinora concepita? Ha ancora senso rimanervi o se ne può, in qualche modo, modificare la rotta, decisamente intrapresa verso il binario morto dell’irrilevanza? 

Problema di non poco conto, visto che oggi, sempre più, i nostri destini sembrano dipendere da decisioni prese da altri, in altra sede, “europea” per l’appunto. Quello che doveva divenire un libero spazio per liberi popoli, si è invece trasformato in una parossistica gabbia di obblighi e restrizioni. Sembra che eventi come guerre napoleoniche, risorgimenti vari, primo e secondo conflitto mondiale e, per ultimo, la caduta del fatidico Muro di Berlino, poco o nulla abbiano insegnato agli europei che, invece, sembrano ripetere, immemori, gli errori del passato. Dal passato si sarebbe dovuto, tutti, trarre la lezione che in Europa nessuno può impunemente predominare, senza che poi se ne abbiano a pagare le amare conseguenze. 

Tanto per fare un esempio non troppo lontano. L’asse franco-britannico, a partecipazione Usa, rappresentato dal francese Clemenceau, dal britannico Lloyd George e dall’americano Wilson, con la propria scriteriata azione politica, all’indomani del Primo Conflitto Mondiale, posero le basi per una virulenta ripresa dei nazionalismi tedesco ed italiano in Europa. Lloyd George e Clemenceau, privando la Germania dell’uso degli stabilimenti della Ruhr ed altre simpatiche sorprese del genere, mentre l’ “umanitario” Wilson, tanto per fare un regalo alla casa regnante serbo-jugoslava dei Karageorgevic, cercò di togliere Fiume all’Italia, alla quale, tra l’altro, non fu accordata quasi nessuna delle richieste che ne avevano condizionato l’ingresso in guerra a fianco degli anglo-francesi. 

Dopo il tragico Secondo Conflitto Mondiale, che stava per portare il mondo intero e l’Europa, verso la distruzione totale, avvenuto sempre grazie alla miopia delle varie cancellerie europee, tedesca, britannica, francese ed italiana (che non seppero né prevedere né affrontare in modo adeguato il problema dell’irrompere sulla scena di Usa ed Urss… sic!), la litigiosa e miope Europa fu divisa in due dalla Cortina di Ferro. Il terrore nucleare fu il deterrente che bloccò il mondo per cinque decenni e passa, permettendo alla potenza Usa di consolidare il proprio dominio, sino ad arrivare a sbarazzarsi tranquillamente e senza colpo ferire, del proprio, scomodo, “competitor” sovietico. Nel frattempo l’Europa, grazie agli accordi di Bretton Woods ed al Piano Marshall, era riuscita a conseguire dei notevoli risultati di crescita che ebbero per protagonisti, proprio i tre paesi sconfitti dall’ultimo conflitto, e cioè Italia, Germania e Giappone. 

Attraverso l’istituzione della Ceca e del Mec, sotto la spinta di personaggi come il presidente tedesco Adenauer, l’italiano De Gasperi ed altri, si paventò la creazione di uno stato europeo. Con il passare degli anni, nonostante la fine degli accordi di Bretton Woods e la crisi petrolifera mondiale, il Mec andò via via facendosi Comunità Europea. Furono gli anni del sogno. Una federazione di stati come negli auspici di Altiero Spinelli o un immenso Stato Socialista dall’Atlantico agli Urali, come nei “desiderata” del belga Jean Thiriart? 

Si favoleggiava di Europa Nazione ma, intanto, si continuavano a raccogliere i risultati di un boom economico senza precedenti, che aveva il proprio fulcro nella armonica crescita delle varie economie nazionali. E poi arrivarono gli anni ’90, la fine dell’Urss e Maastricht.  Preceduta da una svalutazione senza precedenti, operata dal governo Amato, si affacciò ben presto, una crisi recessiva e di crescita che sembrava non aver fine, se non in qualche raro intervallo. 

Dal 1994 fu tutto un susseguirsi di sempre più gravi crisi finanziarie che, partendo da una determinata località, andavano estendendo il proprio contagio al mondo intero. La presidenza Usa di Bill Clinton, fu protagonista dell’abbattimento delle ultime barriere finanziarie, sia attraverso l’abrogazione della legge Steagall (la netta divisione tra banche di risparmio e banche d’affari, sic!) che, attraverso l’allentamento dei controlli sugli strumenti della speculazione finanziaria, il che spalancò la porta al disinvolto uso dei cosiddetti “junk bonds/titoli-spazzatura”. 

Animata da una miopia senza precedenti, l’Europetta non seppe far altro che pensare ad una momentanea armonizzazione degli equilibri valutari, arrivando nel 2001 alla forzosa introduzione di un valuta unica europea (Euro…), senza ben calcolare le conseguenze che questo avrebbe potuto comportare, per il generale benessere ed il tenore di vita dei cittadini delle varie nazioni europee, coinvolte nel progetto. In men che non si dica, l’Europa si trovò immiserita, in crisi ma, specialmente, nuovamente ingabbiata in un sistema di regole, regolette e controlli che ne stavano soffocando crescita economica e tenore di vita, faticosamente guadagnati in anni di duro lavoro. Non si può fare deficit, non si può nazionalizzare, non si possono supportare le proprie industrie, non si può dire, non si può fare…

E stavolta, nel ruolo, di aspirante padrone di turno, un inedito asse franco-tedesco, supportato da alcuni paesi del nord e dell’Est Europa, animata dalla volontà di far fuori Grecia, Spagna ed Italia, per motivi di mera gelosia e concorrenza economica. E già, perché non ve lo foste dimenticato, nonostante la grave crisi interna che il nostro paese attraversa, noi rimaniamo sempre tra li secondo ed il terzo posto, quale economia europea, specialmente in ambito manifatturiero, ma anche in settori come quello siderurgico, vedi l’Ilva di Taranto. 

In un batter d’occhio, l’Europa si è ritrovata nella stessa situazione di tante, troppe, altre volte, nella storia. Stavolta, a voler ingabbiare il Vecchio Continente, è quell’asse franco-tedesco di cui sopra, asservito ai “desiderata” delle varie istituzioni finanziarie internazionali. Un’Europa, cloroformizzata, uniformata al diktat in un superstato ottuso e repressivo, animato da una burocrazia sorda e cieca davanti alle istanze dei cittadini, unicamente ispirata da logiche di mercato. Siamo da capo a dodici. La Storia nulla ci ha insegnato e, puntualmente, ci va riproponendo un antico e mai risolto scenario geopolitico e geoeconomico. 

Dovrebbe esser evidente a tutti che, la costruzione di un super stato europeo, i cosiddetti Stati Uniti d’Europa, non è possibile. Il Moloch comunitario di Bruxelles, omologa ed appiattisce, deprime l’iniziativa economica e le energie creative dei popoli europei. Di fronte ad un contesto internazionale, volto ad asservire il mondo intero alla asfissiante logica della globalizzazione economica, i vecchi stati nazionali non riescono a tener testa. 

A suggerirci un’idea tanto innovativa, quanto antica, è quanto compiuto nell’ex URSS all’indomani della sua scomparsa. La costituzione di una Comunità di Stati Indipendenti e Sovrani, legati da un forte afflato spirituale, accomunati da accordi di vantaggioso interscambio economico ma che, al contempo, lascino le mani libere ad ogni Stato, in tema di gestione dei vari aspetti delle singole economie nazionali. Dal poter effettuare politiche di deficit, ad un intervento pubblico mirato, sino alla possibilità di effettuare politiche monetarie conformi all’interesse dei singoli stati. 

Questa è l’unica via d’uscita possibile per un’Europa che, altrimenti rischia di finire nel binario morto di un disastroso declino politico ed economico. Un riforma radicale che, partendo dagli assunti-base di un’idea federalista, sappia conciliare armonicamente queste istanze con l’irrinunciabile identità dei singoli popoli europei. Il problema non è, pertanto, rappresentato da una repentina e traumatica uscita dall’Europa o dall’Euro, quanto dal presentarsi con idee chiare, determinati a spingere per un radicale riassetto dell’intera costruzione europea. 

Ora, cercare di ignorare o posticipare alle calende greche quanto qui prospettato, magari cercando di trovare il bandolo della matassa in soluzioni quanto mai inutili ed arrangiaticce (come nel caso della cosiddetta “Brexit”, sic!), altro non farebbe che aggravare ulteriormente una situazione, oramai giunta ad un limite di totale insostenibilità per i popoli europei. Che si rassegnino, pertanto, i corifei del buonismo piagnone e del politically correct, d’ogni risma e sorta: il modello liberista globale, il progressismo buonista, sono arrivati alla fine di un percorso. La Storia ha ripreso a girare: che abbiano il coraggio, questi signori, di lasciare il posto a chi, per davvero, rappresenta le istanze dei popoli e non delle concentrazioni sovranazionali di potere economico.     

Umberto Bianchi

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