Con la fiducia incassata ieri anche alla Camera dei Deputati, l’ex presidente della BCE Mario Draghi ha ufficialmente dato il via alle attività del suo nuovo governo. In realtà si trattava di una fiducia ovvia, scontata, scaturita dall’appello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolto alle forze politiche alla fine delle consultazioni. “Avverto il dovere di rivolgere alle forze politiche un appello per sostenere un governo di alto profilo per far fronte con tempestività alle gravi emergenze in corso“, aveva detto Mattarella lo scorso 2 febbraio. Ed era scontata anche perché nasce dall’unione tra quasi tutti i partiti. È rimasto fuori soltanto Fratelli d’Italia, che del resto ha votato contro la fiducia sia alla Camera che al Senato.
Se, però, la fiducia era scontata, assai sorprendente appare invece un dato politico che se ne può trarre: al Senato il governo Draghi è sostenuto da una maggioranza “di centrodestra”. Infatti, come fa notare il Corriere dell’Umbria, su 262 senatori che hanno accordato la fiducia a Draghi, 111 sono distrubuiti tra Lega e Forza Italia, mentre soltanto 108 appartengono alle fila di PD, Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali. Ci sono, evidentemente, anche i voti degli ormai noti “responsabili” e dei gruppi minoritari, ma da un punto di vista politico il dato rimane incontrovertibile. La situazione è apparsa diversa alla Camera dei deputati, con il centrosinistra che ha espresso 50 voti favorevoli in più rispetto al centrodestra. Conferma, però, che il Senato è il punto dolens della maggioranza giallorossa: anche Conte è caduto proprio sui voti di Palazzo Madama.
Questo risultato, però, appare meno sorprendente se messo a confronto con le policy di partito della principale forza giallorossa. Tra gli esponenti del Movimento 5 Stelle, infatti, 15 senatori e 16 deputati hanno votato contro la fiducia, ritenendo insopportabile stare al governo insieme ad alleati di centrodestra. Considerano la cosa un tradimento della loro origine “anticasta”, dimenticando, forse, che questa reputazione l’hanno persa già due anni e mezzo fa, stipulando alleanze prima con la Lega e poi con il PD, che sta dalla parte opposta. Insomma, è stata proprio questa scelta di alcuni esponenti grillini ad aver dato maggiore peso alle forze di centrodestra, rese improvvisamente indispendabili per la nascita del nuovo esecutivo.
Una scelta, però, che costerà cara ai 31 parlamentari a 5 stelle. Per loro, infatti, è già scritta la sentenza di condanna: il capo politico Vito Crimi ha annunciato che saranno espulsi dal movimento. Un provvedimento più lieve, invece, sarà inflitto dai probiviri ai parlamentari che si sono astenuti. Il Movimento considera la loro scelta un tradimento nei confronti della base elettorale, che su Russeau ha scelto di conferire la fiducia al nuovo governo. Una storia costellata di tradimenti – e, per quanto appaia bizzarro, anche di tradimenti di tradimenti -, insomma, quella che vede protagonisti i pentastellati. Che si sono trovati di fronte ad un dubbio amletico: tradire la natura del Movimento per non tradire la volontà degli elettori, o tradire la volontà degli elettori per non tradire la natura del Movimento? Tertium non datur.
La scelta, però, non potrà non portare conseguenze anche per lo stesso Movimento 5 Stelle. Tra gli “obiettori di coscienza” grillini, infatti, ci sono nomi altisonanti. Tra questi, l’ex ministro per il Sud Barbara Lezzi, ma anche il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra. Nomi troppo “grossi” per rimanere solamente seggi sparsi tra gli scranni di Palazzo Madama e Montecitorio. È molto più probabile che daranno vita ad una scissione, dando vita ad un nuovo gruppo parlamentare. I numeri, del resto, ci sono: esistono oggi nelle due Camere gruppi parlamentari molto meno numerosi. Ma, si sa, chi vivrà vedrà.
Francesco Amato
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