I decreti Speranza che uccisero la pietas

IL FIGLIO MORIVA AL 'POLICLINICO TOR VERGATA' MA LA MADRE E NESSUN FAMILIARE POTE' VEDERLO NE' SALUTARLO. NON PUO' ESISTERE UN SISTEMA SANITARIO CHE DIMENTICA LA DIGNITA' DELLE PERSONE

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Riccardo Corsetto Direttore L’Unico

di Riccardo Corsetto

La signora Elsa ha 77 anni e il cuore spezzato da lacrime e dolore. Ex farmacista, con oltre 40 anni di carriera, ha provato la più atroce delle esperienze: vedere un figlio che muore.
Anzi, per la verità, avrebbe voluto vederlo, per assisterlo e tenergli la mano, nel momento del trapasso alle valli celesti, ma il sistema sanitario e forse l’aridità degli uomini non gliel’hanno concesso.

A Giugno, Mario Amirkhanian, 53 anni scopre di avere un linfoma mantellare. Generalmente il tempo di sopravvivenza è 3 anni. Il 40% sopravvive 5 anni dopo la diagnosi e appena il 10% raggiunge i 10 anni.
Il paziente è ricoverato per ricevere cure ematiche e chemioterapiche che non possono svolgersi ambulatorialmente. Dalla clinica Pio XI viene trasferito, contro il parere dei familiari, al Policlinico Tor Vergata. A luglio, nonostante il picco dell’emergenza Covid sia alle spalle, i protocolli, nei reparti di oncoematologia, restano tra i più rigidi in assoluto.

Elsa sente il figlio Mario solo per telefono. Vorrebbe vederlo, abbracciarlo, assisterlo, anche solo tenergli la mano ma il sistema e i camici bianchi lo vietano.

I sanitari però la rassicurano: se le condizioni dovessero precipitare a tal punto da far presagire il peggio, le sarà concesso di stare accanto al figlio morente.
Ma si sa che a volte piove sul bagnato e a fine luglio Mario contrae un’infezione. Il Covid stavolta non c’entra, si tratta di un’infezione micotica che fa precipitare il quadro.
L’anziana madre che a nessuna età smetterà mai di essere madre, presagisce la fine, ma un castello kafkiano l’allontana senza pietas dal capezzale del figlio.
Come se la Salute pubblica fosse racchiusa tutta in un corollario di prescrizioni grigie da cui è bandito il sano balsamo del calore umano e del cuore.
Il diritto di assistenza familiare è calpestato, ignorato e vilipeso dai Decreti Speranza, che in nome della salute, uccidono la pietà.

“Glielo faremo vedere, glielo faremo abbracciare”, ma Elsa non vede suo figlio già da un mese. Poi il primo agosto quella telefonata che la butta già dal letto alle 5 del mattino per poi scaraventarle il mondo addosso. Chiamano dal Policlinico, la voce è di un giovane specializzando, a cui hanno dato l’onere del triste annuncio in una brutta mattina agostana, con l’ospedale semivuoto di primari e direttori.
Quel giovane che sosterrà il peso di compensare una pietas mancata e le lacune di un sistema che spesso perde di vista la dignità delle persone.
Mario non c’è più, dice.

La vita di un uomo passa così in un solo secondo nella memoria della madre, ma è come passassero granate sulla sua pelle e sulle sue ossa. Le sembra di sentire i primi vagiti come fossero vagiti di ieri.

Una madre non smette mai di essere madre e Elsa pensa allora a quel frutto che il figlio aveva tanto desiderato, in una delle sue ultime telefonate.
Un frutto che Elsa non potrà però recapitare, non essendo in grado di varcare la distanza siderale tra lei e il figlio colmata dallo spessore hobbesiano dello Stato.
Proprio quell’ultimo frutto, desiderio negato negli ultimi istanti di vita, non riuscirà più a mangiare per il resto dei suoi giorni.

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