Il berretto a sonagli: Gabriele Lavia al Quirino con il dramma delle ipocrisie

Fino al 20 novembre al Quirino "Il berretto a sonagli". Gabriele Lavia porta sul parco una vicenda attualissima, un turbinio di contrasti e di ipocrisie in cui l'apparire conta più dell'essere e il prestigio sociale più dell'intima moralità.

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Il cast in scena per gli applausi, al termine della prima

In un gioco di luci e ombre si apre il sipario in uno scorcio della Sicilia, quella dell’entroterra, tanto cara a Luigi Pirandello. Va in scena “Il berretto a sonagli”, il dramma delle ipocrisie, dei contrasti, del ciò che appare diverso dal ciò che è. La scena è costituita da un vecchio fondale con pochi elementi, resti di un salottino borghese, che costringe i protagonisti a fare i conti con l’angoscia di dover vivere per gli altri, per la reputazione pubblica.

Ciampa (Gabriele Lavia) e Beatrice (Federica Di Martino) in una scena della rappresentazione

Gabriele Lavia e Federica Di Martino sono i magistrali protagonisti, nei panni rispettivamente del vecchio scrivano Ciampa e di Beatrice, moglie del rispettabilissimo cavaliere Fiorica. Con loro in scena Francesco Bonomo (che interpreta don Fifì, fratello di Beatrice), Matilde Piana (la Saracena), Maribella Piana (la serva Fana), Mario Pietramala (delegato Spanò), Giovanna Guida (Assunta, madre di Beatrice) e Beatrice Ceccherini (Sarina, moglie di Ciampa). I costumi di scena sono realizzati dagli allievi dell’Accademia Costume & Moda coordinato da Andrea Viotti.

Vero protagonista della storia, che va in scena in un misto tra italiano e siciliano, è il cavaliere Fiorica, nobile banchiere del paese e marito della signora Beatrice. Egli non appare mai sulla scena, ma è lui il movente della vicenda. Beatrice, infatti, aveva il sospetto che il marito la tradisse con Sarina, moglie del suo dipendente Ciampa. Convinta dalla Saracena, allora, decide di sporgere denuncia nei suoi confronti. A nulla sono valsi i tentativi della vecchia serva Fana e del delegato Spanò, chiamato per ricevere la deposizione, di convincere Beatrice a desistere: la donna era risoluta su questa sua scelta. Ed è a quel punto che lo scandalo viene fuori, che quella bomba esplode e la notizia del cavaliere traditore – o, peggio, dello scrivano becco – arriva sulla bocca di tutti.

È proprio qui che entrano in scena tutti i contrasti e le ipocrisie dell’umanità, dell’apparenza e la reputazione più sacre dell’essenza vera. Perché per l’opinione pubblica non è importante il tradimento subito da Beatrice, ma l’onorabilità del cavaliere. Quell’onorabilità che, seppur venga meno nei fatti, non deve mai venir meno nell’apparenza, e che porta gli uomini a difendere a denti stretti il proprio prestigio sociale, il pupo dietro il quale nascondono la meschina realtà di ciascuno.

Contrasti su contrasti, insomma. Fana conosce bene le intenzioni di Beatrice e potrebbe riferire la cosa al fratello della donna, don Fifì, per evitare ogni conseguenza, ma non lo fa perché, serva obbediente quale è, non può porsi contro la propria padrona. Il delegato Spanò, che nel suo ruolo di pubblico funzionario dovrebbe accettare la denuncia, ma prova a far desistere la donna per non mettersi contro il cavaliere. Oppure Ciampa, che soffre per i tradimenti della moglie, ma deve sopportarli per il suo essere asservito al cavaliere. E che, pur amando Sarina, pensa di ucciderla perché era l’unica cosa da fare per provare a scollarsi di dosso l’etichetta che ormai gli era stata posta: becco, cornuto.

La vicenda si risolve con l’ennesimo contrasto, con un’altra ipocrisia. Far credere che Beatrice sia pazza, portarla in maniera evidente in un manicomio per qualche tempo, in modo che la pazzia conclamata della donna possa giustificare lo scandalo che si è creato nel paese e, ancora una volta, l’onorabilità, il proprio pupo, sia salvo. Insomma, una vicenda attualissima, da gustare tutta d’un fiato al Teatro Quirino fino al 20 novembre.

Francesco Amato

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