Molto spesso dai paladini dell’accoglienza si sente dire che l’Italia dovrebbe accogliere tutta l’Africa affinché “gli immigrati ci paghino le pensioni”. Ma andiamo con calma. Come funziona il sistema pensionistico italiano?
Il nostro sistema pensionistico viene definito a ripartizione e contribuzione definita, ossia ogni individuo, durante la sua carriera lavorativa, versa dei contributi che servono per pagare le pensioni alle precedenti generazioni che ora sono per l’appunto in pensione. In poche parole, i contributi “vengono trasferiti nello spazio e non nel tempo” dal momento in cui la generazione attuale, ossia quella che ora lavora, sa che fra venti o trent’anni, ritroverà comunque tutti i contributi che ha versato. Come è possibile tutto questo meccanismo?
Il meccanismo sta in piedi perché è lo Stato che si fa garante di questo patto tra generazioni: viene da sé che se la popolazione invecchia sempre di più e se, purtroppo, le morti superano le nascite, il meccanismo sopra citato rischia di avere qualche problema soprattutto in un dato momento storico dove la disoccupazione italiana è ancora molto alta e quindi l’economia stenta a ripartire.
Tito Boeri, ex presidente INPS, aveva dichiarato “se l’Italia rinuncia agli immigrati il nostro paese perde 38 miliardi di euro in 22 anni”. In poche parole, rinunceremmo a 1,71 miliardi di euro l’anno che potrebbero essere tranquillamente recuperati tagliando i fondi per l’accoglienza come fatto dall’ex Ministro degli Interni Salvini, con un risparmio di circa 3,5 miliardi di euro all’anno per le finanze pubbliche. Se invece seguissimo la pista, alquanto curiosa di Boeri, di spendere 5 miliardi all’anno per 22 anni l’Italia si priverebbe di 110 miliardi di euro, soldi che verrebbero sottratti all’economia reale, senza creare alcuna ricchezza per giunta.
La narrazione di chi giustifica l’accoglienza mistifica quasi sempre (aggiungiamo il quasi per non risultare eccessivamente presuntuosi) fra immigrato regolare e clandestino, identificandoli nella stessa maniera: la differenza però è sostanziale: il primo ha documenti in regola e pertanto può lavorare nel nostro Paese e contribuendo alla gestione delle nostre finanze pubbliche, pagando le imposte in base alla sua capacità contributiva (art. 53 Costituzione Italiana), il secondo invece no, dal momento che i contributi vengono versati da chi possiede un regolare contratto di lavoro, dunque è molto difficile che riesca a pagare qualcosa che anche lontanamente si avvicini ad una pensione. Gli immigrati regolari, secondo gli ultimi rapporti ISTAT, rappresentano l’8% della popolazione residente in Italia e contribuiscono a pagare circa 600000 pensioni nel nostro Paese.
Siamo di fronte ad un’interpretazione molto personale e tendenziosa della realtà che porta all’obiezione principe, quella che fa crollare questo castello di carte costruito in maniera pessima e decisamente troppo arrangiata: se al posto degli italiani vi fosse qualcun altro, il gettito contributivo rimane invariato e non darebbe un carattere particolare al contributo versato. In altre parole, il contributo versato da un italiano è identico a quello versato da un immigrato.
Chi versa i contributi, come già detto prima, lo fa in virtù di un contratto di lavoro, non in base alla propria nazionalità. Dunque, repetita iuvant, sarebbero versati anche da un italiano con lo stesso contratto.
Anzi, se l’immigrato dovesse decidere di far ritorno nel suo Paese d’origine e con lui i contributi che egli stesso ha versato, saranno persi dalla disponibilità delle finanze pubbliche italiane.
Ecco qualche possibile proposta:
- Le pensioni devono essere calcolate sui contributi realmente versati;
- Favorire il ricambio generazionale per non far morire sul posto di lavoro le persone posticipando sempre di più il pensionamento;
- Favorire il risparmio pensionistico che deve essere pari a un certo valore che definiamo di dignità per non oltraggiare la dignità dei lavoratori.
- Incentivare la previdenza complementare: è inammissibile che i rendimenti sugli investimenti vengano tassati al 20% come se fossero degli investimenti in prodotti finanziari ad alto rischio, dunque speculativi.
“Prendetevi cura della disoccupazione e il bilancio curerà sé stesso”. Queste parole pronunciate da Keynes, padre della macroeconomia moderna e non da un paladino dell’accoglienza in preda a manie di onnipotenza, fanno capire come sia necessario combattere la disoccupazione: sono ancora troppi gli italiani disoccupati, soprattutto giovani che qualora venissero assunti potrebbero garantire più consumi e di conseguenza aumenti della produttività italiana ferma da quasi 25 anni, più gettito fiscale e più gettito contributivo per le casse dell’INPS e dunque “più pensioni pagate”.
Basta con l’austerità, basta farci prendere per il culo dall’arroganza del potere francotedesco. Basta farci considerare i maiali d’Europa e stare sempre col cappello in mano. Dobbiamo ritornare ad essere Italia, ritornare di nuovo grandi, ancora una volta.
Stefano Mastrillo
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