
“La Russia sta fallendo e Putin è pazzo”. Sono due delle tesi più inflazionate e ripetute dalla maggioranza degli opinionisti. Al di là delle ragioni di Putin e delle ragioni dell’Occidente, se si volesse fare una analisi oggettiva di quello che in questi primi giorni di guerra è accaduto – militarmente parlando – dovremmo dire due cose: Putin non sembra affatto pazzo e la Russia non sta affatto fallendo l’invasione. C’è una razionalità strategica nella conduzione dell’invasione che lascia escludere che Putin sia impazzito. Il fatto che non sia avanzato dipende esclusivamente da una precisa strategia che è quella di non distruggere l’Ucraina, ma semplicemente di farla prigioniera, di accerchiarla, insomma di imprigionarla.
“Kiev e l’Ucraina sono spazi vitali per la Russia” – dice il capo del Cremlino nella dichiarazione di guerra, è normale che occorra prenderla senza ucciderla. Ferirla si, ma non annientarla.
I giornalisti occidentali stanno propagandando l’idea fallace di una Russia che avanza a fatica, e che non sarebbe riuscita a distruggere le infrastrutture, le reti elettriche, gli impianti per le telecomunicazioni o le condotte idriche. Ma ciò che non viene detto è che la Russia non vuole condurre un tipo di guerra del genere, non vuole colpire indiscriminatamente e questo lo si evince dall’uso quasi inesistente di bombardamenti aerei.
“La Russia avanza e poi si ritira” dicono in tanti, pensando che ciò significhi fallimento quando invece è pura strategia. La Russia non vuole combattere il popolo ucraino, ma il suo governo filo americano. Per questo sono stati disposti con l’autorizzazione della Russia corridoi umanitari.
L’altra verità è che il governo di Zelensky ha posto il divieto ai suoi cittadini maschi di lasciare il paese nell’età compresa tra i 18 e i 60 anni. Con la retorica che dovessero difendere il paese pur non avendo alcuna preparazione bellica, armi ed equipaggiamenti. Misura coercitiva che ha contribuito pesantemente all’esodo dei profughi.
DIFFERENZE CON LA GEORGIA DEL 2008
Ecco allora che una ritirata rapida, di tre giorni, come fatto molto ragionevolmente dalla Georgia nell’agosto del 2008, quando si arrese subito alla Russia – entrata per difendere la secessionista Ossezia del Sud dall’ingerenze georgiane – avrebbe già garantito la fine della guerra. Avrebbe garantito l’incolumità degli ucraini. E la nostra sicurezza in Europa di dormire sonni tranquilli senza lo spauracchio del nucleare.
Ma è proprio questa resistenza impossibile ucraina raffazzonata che Zelensky su suggerimento e con i soldi americani ha messo in piedi, che a differenza del caso georgiano, rischierà di trascinare l’Europa in un conflitto estraneo, che non gli appartiene per nessuna ragione al mondo e che riguarda nelle motivazioni esclusivamente gli Stati Uniti d’America nel rapporto muscolare col mondo.
15 MILA AK-47 KALASNIKOV E BOTTIGLIE MOLOTOV A CIVILI INESPERTI
Il governo Zelensky ha distribuito alla popolazione impreparata oltre 15mila AK-47, e tutorial per fabbricare in casa, come mostrato in tripudio di stupidità umana, bottiglie molotov. Le immagini di donne e ragazzini che costruiscono Molotov con bottiglie di birra dovrebbe darci la dimensione della scelleratezza di chi incita alla resistenza una popolazione civile che non ha alcuna possibilità di resistenza senza l’intervento bellico di milizie internazionali professionali. Anzi l’unico risultato che sta ottenendo l’incitamento europeo e politico alla resistenza ucraina è un numero maggiore di morti, un prolungamento dei tempi dell’invasione di Vladimir Putin, e il rischio concreto che la situazione degeneri trasformando una guerra locale – come locali furono Georgia, Crimea e Donbass – in una guerra totale.
Quello che i giornali non dicono è che mentre Putin preparava questa guerra, gli Stati Uniti preparavano il “modello Zelensky”, decisi a evitare che l’Ucraina ripiegasse come la Georgia di Mikheil Saakashvili nel 2008, nella famosa guerra per l’Ossezia del Sud, che è ricordata non a caso come la guerra dei 5 giorni. Non crediamo alla favola dell’aggressione inaspettata.
Dobbiamo quindi vedere l’esodo di massa dall’Ucraina, che ha portato il premier Draghi a saltare da un stato di emergenza ad un altro, ovvero da quello del Covid a quello per la guerra e la gestione dei profughi, che recherà molti problemi all’economia italiana, non bastasse la crisi energetica conseguenza delle sanzioni a Mosca, nostro partner commerciale da cui dipende metà del nostro fabbisogno annuale.
L’esodo, ci insegna la cronaca, non solo come paura della guerra, ma anche come paura della coscrizione di Zelensky. Evidentemente questa situazione non si verificò in Georgia, nel 2008, perché ci fu subito una resa davanti alla rivendicazione della Russia dell’Ossezia e dell’Abcasia.
Un atteggiamento irresponsabile di cui noi italiani ed europei, al traino della retorica francese, tedesca e inglese, ci siamo resi emuli.
Quella di Putin è lenta non perché la Russia non riesce ad avanzare, ma perché sta operando una guerra di accerchiamento, non di distruzione. Molto differente da quella di distruzione indiscriminata, molto sovente applicata dagli USA, che detengono il primato esclusivo dell’uso della bomba atomica e che ci auguriamo ovviamente non perdano.
La guerra di Putin dura di più perché è una guerra chirurgica. Che quindi costa anche di più economicamente, ma lascia meno macerie e meno morti sul campo. L’obiettivo dei russi è catturare intatta l’Ucraina. Non raderla al suolo. Le mosse di Putin sono state fino ad oggi razionali da un punto di vista meramente bellico.
Certo la guerra si può leggere con tre occhiali. E’ chiaro che con gli occhiali dell’umanità appaia “folle”. Con gli occhiali degli americani finirà per apparire “criminale”, ma con gli occhiali dello storico e dell’analista delle strategie militari può apparire addirittura “razionale”. Soprattutto se confrontata con alcune tecniche messe in atto dal Secondo Dopoguerra dagli americani, che oltre al nucleare detengono un altro triste primato chiamato Napalm.
Gli esperti onesti però lo sanno che l’aviazione russa avrebbe potuto distruggere in 72 ore le maggiori città ucraine, martellando indiscriminatamente. Ma questo non avviene, perché nell’offensiva russa, che ci piaccia o meno, c’è una conduzione ponderata. Almeno fino ad oggi. Le perizie storiche ci interessano, quelle psichiatriche servono solo a riempire rotocalchi a corto di contenuti. Ora un Occidente che spinge i civili a combattere l’armata professionale di Putin a mani nude, fionde e bottiglie molotov serve probabilmente a qualcuno per aumentare il numero dei caduti ucraini da scaricare sulla coscienza di Putin, e creare la mattanza ideale a dipingere meglio il ghigno del cattivo sul volto di Putin e quindi a motivare l’intervento del Patto Atlantico.
Poteva invece andare come in Georgia, con una guerra di cinque giorni, senza rischi nucleari, senza Europa teatro di guerra per i capricci americani, e con Crimea e Donbass riconosciuti a livello internazionale. Dovremmo tirarcene subito fuori, noi italiani, da questa rissa tra il freddo autocrate e i nostri tiepidi dementi.
Sono convinto che la resistenza ucraina sia emotivamente comprensibile ma strategicamente rovinosa per l’Europa. La “follia” di Zelensky nell’armare civili non addestrati con fionde e molotov contro un esercito professionale, e richiedere una No-fly-zone a cui per fortuna per ora si è sottratta anche la NATO, significherebbe far scoppiare la Terza guerra mondiale. Ma non è un film stavolta.
Facebook Comments