
Segretario Sezione Lega Ponte Milvio
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Ricordate una delle più belle frasi di Leo Longanesi? Quando scriveva che le rivoluzioni di solito cominiciano al bar e poi sfociano in piazza, mentre in Italia cominiciano in piazza e finiscono al bar?
Come poteva immaginare l’immenso scrittore-editore che nell’anno domini 2020 le rivoluzioni potessero finire addirittura in Taverna, quella di Paola, la borgatara de’ noantri, che mentre scriviamo potrebbe ereditare lo scettro di Gigino di Maio, costretto a rimettere la carica di capo per salvare almeno la stima della madre.
Un giorno gli storici ricorderanno la “rivoluzione” di questi scappati di Casa… (leggio), rivelatasi un piece di commedianti, Grillo alla testa, che per un decennio volevano cambiare il mondo a suon di vaffa: partiti numerosi e tronfi da piazza Maggiore a Bologna, per finire sparuti e spauriti in Taverna.
E attenzione perché non mancarono la fortuna e le competenze, ma l’onestà intelletuale e materiale, quella ipocritamente sbandierata da questi abusivi del Parlamento, paracadutati, senza arte né parte, nelle massime istituzioni italiane dal malcontento organizzato da una azienda di marketing.
Per questo non vorremmo mai che Di Maio diventi il capro espiatorio di questo fallimento. Non può diventarlo perché la sua leadership non è mai stata messa in discussione da nessuno all’interno del movimento che ha illuso milioni di persone. Spezziamo, dunque, una lancia in favore di Luigi: non può esserci un successore credibile, perché tutti furono complici nella gestione di questo fallimento.
Ecco perché il Movimento 5 Stelle non potrà essere rifondato ma solo, definitivamente, affondato. Come un relitto irrecuperabile. Anche perché Gianroberto Casaleggio è morto e Beppe Grillo ha esaurito da tempo la voglia di fare l’arruffapopolo.
Gli scappati di Casa-leggio gridavano contro il Pd, per poi finirci a letto. Ancora risuonano nelle orecchie di tutti le urla scomposte e sgraziate di Paola Taverna, la deputata che fece ingresso a Montecitorio, il Palazzo di Bernini, per intenderci, adoperandolo come fosse il mercato di Porta Portese. Ce l’aveva a morte con quei “corrotti” del Pd, delegazione in terra di Mefistofele. Alla fine ci fece comunella, pur salvare stipendio e poltrona. Ora il fatto che questa sgraziata, androgina e roca parlamentare a sua insaputa, sia in lizza mentre scriviamo (24 gennaio, ndr) per ereditare lo scettro di Di Maio è l’esemplificazione plastica della parabola insupportobabile, e insopportabile, dei 5 Stelle.
Hanno preso il governo degli italiani col voto di scambio. Come altro volete chiamare la boiata del Reddito di cittadinanza. I voti sono pure arrivati, soprattutto al sud, mentro il reddito non a tutti: a parte immigrati e qualche brigatista rosso di sangue.
Avevano promesso il rimborso dei loro stipendi e invece si sono tenuti stretti i loro soldini fino all’ultimo centesimo.
Qualcuno si domanda il perché delle scelte suicide di questi giovani imbelli imbecilli. Il perché potrebbe essere nella teoria del “prendi finché puoi”. Siccome sai che fai il parlamentare per caso, sai che non ti ricapiterà mai più, e quindi arraffi a quattro mani finché soffia un alito di vento.
In un delirio di sopravvivenza, illusi di poter resistere alle prossime elezioni, hanno superato se stessi nella vicenda Gregoretti. Provare a mandare in galera Salvini togliendo di torno l’avversario più temibile. Sottovalutando imperdonabilmente che il popolo non è fesso e ricorda il caso della nave Diciotti, e in generale la prima parte del primo governo Conte, quando il movimento era perfettamente allineato alla gestione dell’ex ministro degli Interni.
Come fai allora a mandare a processo qualcuno per un “reato” che hai commesso con lui? Che poi non è un reato ma un indirizzo politico che Paesi come la Francia e la Germania attuano da sempre senza che nessuno gridi allo scandalo?
La cosa più tragicomica è l’astensione dal voto per decidere le sorti di Salvini. Mai nella storia italiana un leader aveva chiesto socraticamente ai suoi seguaci di mandarlo a processo. Spiazzati da questa mossa, Partito Democratico e 5 Stelle hanno deciso di disertare il voto, dimostrando di non avere nemmeno il coraggio delle proprie azioni. La loro strategia, ipocrica e fuorviante, ha letteralmente martirizzato Salvini, così qualcuno, che mangia più sogliola, deve aver suggerito che crocifiggendolo pilatamente a una settimana dal voto dell’Emilia Romagna, il Governo avrebbe commesso il più clamoroso autogol della politica italiana.
Così successe che per un giorno l’anima di Pirandello aleggiò per Montecitorio, con leghisti che mandavano a processo il Capitano e nemici che lo graziavano.
In una ridda da commedia dell’arte, in cui i ruoli si scambiano e gli attori corrono frenetici senza una sceneggiatura né autori. Nacquero al motto di “uno vale uno”. Ma potevano dire “nessuno” o “centomila”. E adesso hanno perso anche le maschere. (Tratto da ilCandido)
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