
di Riccardo Corsetto
Caro Ministro Antonio Tajani, intervenga per assicurare alla giustizia l’investitore del nostro campione Davide #Rebellin.
Dopo la morte del ciclista, che ci ha profondamente rattristati, è stato finalmente individuato il killer stradale del campione. Si tratta di un cittadino tedesco incastrato dalle telecamere.
Dopo aver schiacciato il campione veronese è risalito sul Tir fuggendo in Germania come i killer tedeschi del Garda che tranciarono in motoscafo, ubriachi, due giovani ragazzi italiani e facendo subito dopo perdere le proprie tracce.
Il camionista poche ore fa è stato denunciato “a piede libero” poiché in Germania l’omicidio stradale non è previsto.
Una motivazione preoccupante, visto che qui siamo in presenza di omissione di soccorso e fuga, con un soggetto che ha già una denuncia per omissione nel 2001 e un ritiro di patente per guida in stato di ebrezza nel 2014.
I tedeschi debbono consegnarcelo subito, anche perché il reato in Italia è previsto e il soggetto non solo può reiterare il reato, facendo altre vittime, ma può darsi alla latitanza.
Il ciclismo è stato sport più popolare del calcio negli anni dell’Italia pre boom-economico, diciamo orgogliosamente “contadina”. E oggi per questo forse non tutti sanno chi è stato questo campione. È stato un uomo che ha portato in alto il tricolore italiano, colmando i divari fisici con chi era più “campione” di lui, attraverso una disciplina religiosa nell’allenamento. Rebellin sta al ciclismo come Mennea all’atletica.
Uomini normali divenuti campioni, prima che per le gambe e i muscoli, per la testa e una maniacale metodica per la preparazione fisica e mentale. Sportivi, Mennea come Rebellin, capaci di grande analisi riflessiva e intellettuale.
Davide Rebellin è stato un uomo che ha vissuto per il ciclismo. Un uomo che ha vinto grandi classiche guadagnandosi un posto nella storia di questo sport unico. Un uomo che ha corso da professionista per un periodo ineguagliabile di anni: dal ‘92, passando alla massima categoria insieme a Marco Pantani, e smettendo solo pochi mesi fa, all’età incredibile di 51 anni.
Da ragazzino, ammiravo Davide Rebellin per le grandi qualità tecniche ma soprattutto per il suo modo di allenarsi, maniacale. E la sua pacata intelligenza linguistica. Un uomo che era piacevole ascoltare parlare oltre che veder correre.
Agli inizi del duemila seguivo il suo blog online che aveva chiamato “Rebelix” (soprannome datogli dai tifosi) in cui Davide quotidianamente annotava per noi amanti di questo sport diete e tabelle di allenamento.
Mi convinsi che bere un bicchiere di latte freddo alla fine di un lungo training come faceva lui tutti i giorni potesse migliorare le mie prestazioni.
Non funzionó, ovviamente. Ma seguire quel blog mi fece conoscere un atleta che aveva una grande capacità di trasmettere passione, una passione forse eccessiva. Vedendolo correre a 50 anni, tenere ancora le ruote dei 20enni neo prof, mi ha fatto pensare una cosa di cui, adesso, a ripensarci mi corrono i brividi.
Sembrava a tanti che Rebellin non potesse proprio vivere senza gareggiare in bicicletta” . Ora il destino infame ha voluto che il suo addio, dopo 30 anni di agonismo ai massimi livelli, significasse per lui anche l’addio a questo mondo.
Rebellin non è morto però per un banale incidente. I prof lo mettono in conto percorrendo 30 mila chilometri l’anno su strade trafficate.
Rebellin è morto per un uomo già noto alle forze dell’ordine che per l’ennesima volta è fuggito dopo aver causato un grave incidente. Un uomo che forse guidava ubriaco come nel 2014 a Chioggia, quando gli tolsero la patente? Un uomo che è fuggito di nuovo dalle sue responsabilità.
La Germania deve consegnarlo alle autorità italiane per essere giudicato senza pericolo di fuga dalla nostra giustizia.
Intervenga ministro, Davide Rebellin è patrimonio italiano che merita l’attenzione delle istituzioni e vale, se occorre, un incidente diplomatico.
riccardo.corsetto@gmail.com
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