Rifiuti Roma, retroscena di una “emergenza”

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Nelle ultime settimane a Roma è scoppiata l’ennesima “emergenza” rifiuti.
In realtà l’emergenza si collega ad una situazione imprevista mentre questa, come le altre emergenze rifiuti che periodicamente si ripropongono a Roma, poteva essere prevista e, se non evitata, almeno contenuta.

È dal 2012 che la Regione Lazio non ha un piano di gestione dei rifiuti.
È dal 2016 che Ama, la municipalizzata incaricata dal Comune di Roma della raccolta dei rifiuti romani, non approva il proprio bilancio di esercizio. A ciò si aggiunga l’indisponibilità di mezzi e personale che, lungi dall’essere nuova o risolta, viene periodicamente addotta a giustificazione dell’inefficienza del servizio.
Il 5 Luglio, il Presidente della Giunta Regionale per il Lazio ha emanato un’ordinanza imponendo ad AMA e agli operatori attivi nel trattamento e nello smaltimento dei rifiuti nella Regione, una serie di obblighi con il dichiarato obiettivo di risolvere l’emergenza.
In mancanza del Piano, probabilmente era necessario che le “cartoline” dell’impietosa Capitale facessero il giro del mondo e la salute dei cittadini rischiasse di essere compromessa.

Infatti, anche la Procura di Roma, il 10 luglio, ha aperto un’inchiesta, al momento contro ignoti, per verificare se la mancata raccolta dei rifiuti integri uno o più delle ipotesi di reato previste dal testo unico ambientale.

In ogni caso, è dovuto intervenire il Ministro dell’ambiente in un vertice con il Comune e la Regione per far tornare la situazione alla “normalità”, anche previo ridimensionamento delle tempistiche previste dall’ordinanza, evidentemente non compatibili con la situazione fattuale.
Al di là dei profili di eventuale competenza giudiziale o di dibattito politico, Regione e Comune hanno precisi obblighi di gestione e pianificazione, dai quali occorre partire per trovare una soluzione seria e concreta.
Gli obblighi della Regione
Gli obblighi della Regione non possono esaurirsi nell’adozione di un’ordinanza come quella emanata e ampiamente pubblicizzata.

Innanzitutto, l’ordinanza è soggetta a decadenza entro sei mesi dalla sua adozione, per effetto della stessa previsione normativa che ne consente l’emanazione. Infatti, il potere esercitato con l’ordinanza è un potere straordinario e come tale esercitabile solo per un periodo limitato di tempo.

Inoltre, l’ordinanza è potenzialmente impugnabile dinanzi al giudice amministrativo dai soggetti che ne sono destinatari. In altri termini, il giudice ben potrebbe annullarne gli effetti ove ritenesse che i presupposti per la sua adozione non sussistevano.
Al contrario, sulla Regione Lazio, grava un preciso obbligo normativamente imposto: adottare uno strumento di pianificazione in materia di gestione dei rifiuti, il c.d. piano di gestione dei rifiuti.

Per la Regione Lazio, come anticipato, il piano attualmente in vigore è datato 2012. A distanza di 9 anni, quindi, non esiste un Piano aggiornato. Ciononostante le Linee Strategiche adottate dalla stessa Regione chiariscono come l’adozione del Piano sia urgente. Ad esempio, si legge che nell’ambito territoriale di Roma, ovvero in una della cinque zone in cui è suddiviso il territorio laziale ai fini di pianificazione, per il trattamento “al momento non è garantita l’autosufficienza”. Ciò vuol dire che i rifiuti indifferenziati di Roma vengono trasferiti nelle altre province del Lazio, fuori regione o addirittura fuori nazione.

Ove ciò non bastasse, sempre secondo le analisi offerte dalla Regione, la maggiore criticità è lo smaltimento tanto che si prevede che “già dall’anno 2020 ci sarà emergenza nell’intera regione”. Lo smaltimento dei rifiuti, quindi, non è un problema della sola Capitale.

In sintesi, l’ordinanza, aldilà della capacità comunicativa e pubblicistica per i cittadini romani che periodicamente vengono catapultati in una città dai contorni medioevali, è poco efficace in assenza di un piano che deve essere adottato in tempi rapidi e con soluzioni concrete e praticabili.

Gli obblighi del Comune, indipendentemente dal colore dell’amministrazione reggente, non possono esaurirsi nell’attribuzione di responsabilità ad amministrazioni precedenti o ad altre amministrazioni con poteri diversi e concorrenti. Ugualmente, è poco credibile imputare ogni problema della cattiva gestione della municipalizzata alla municipalizzata stessa, come se tale gestione fosse attribuita ad un soggetto estraneo al Comune che, al contrario, ne detiene l’intero capitale sociale.

È un fatto che la Giunta Capitolina non abbia ancora approvato i bilanci di AMA degli ultimi due esercizi. Parimenti, non è una novità l’indisponibilità di mezzi e personale di AMA o la necessità di efficientare la gestione delle spese riducendo i costi. L’Amministrazione deve amministrare. L’omissione è equiparabile all’azione, soprattutto quando gli strumenti per l’azione esistono. Infatti, gli strumenti per garantire una gestione efficiente di AMA esistono.

A titolo esemplificativo, l’approvazione dei bilanci garantisce un controllo delle modalità attraverso cui la società utilizza le risorse pubbliche messe a disposizione. È chiaro che il presupposto per un’analisi programmatica seria è l’approvazione dei bilanci che forniscono il quadro economico di riferimento grazie al quale definire realisticamente le attività presenti e future.
Inoltre, Roma Capitale e Ama sottoscrivono un contratto di servizio che disciplina le modalità di erogazione dei servizi riconducibili alla gestione integrata dei rifiuti urbani. Tale contratto non soltanto è soggetto a revisione annuale da parte di Roma Capitale ma ben potrebbe essere modificato in sede di sua esecuzione.

La questione, quindi, aldilà dell’aspetto politico, è di gestione manageriale della municipalizzata. Il Comune non può spogliarsi di questa responsabilità visto che è chiamato a garantire ai cittadini romani, addirittura invitati a produrre meno rifiuti, un servizio funzionante. Tanto più che questo servizio viene pagato dai cittadini, anche quando non erogato.

In sintesi, l’ordinanza, in assenza di un piano regionale, sembra un proclama più che una soluzione. Dal 2012 poteva essere adottato un piano e, almeno ad oggi, questo piano ancora non c’è. Il refrain della sindaca sull’assenza di responsabilità dell’amministrazione comunale è quasi imbarazzante. Il Comune detiene l’intero capitale sociale di AMA che, per le sue evidenti criticità interne, non è in grado da tempo di garantire un servizio adeguato alle esigenze della Capitale. Difficilmente l’ultima emergenza rifiuti sarà l’ultima. In assenza di un piano organico e serio di intervento o con un “rimpallo” di responsabilità, ogni soluzione non può che essere temporanea. Il problema, inoltre, rischia di diventare regionale oltre che nazionale, almeno in termini reputazionali e di danno all’immagine.

L’augurio è che, lucidamente e organicamente, ciascun soggetto per i suoi profili di competenza, lavori seriamente e duramente per riportare Roma ai suoi antichi fasti o, perlomeno, la faccia riemergere dalle sue ceneri.

Francesca Zambuco

Avvocato in Roma, che scrive a titolo personale senza rappresentare alcuna posizione dello studio di appartenenza né di ogni altro soggetto direttamente o indirettamente citato.

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