Sanità: fuga dalle corsie per un dipendente su sette

Da un'inchiesta condotta da Repubblica emerge come Roma sia la capitale con il doppio delle esenzioni rispetto al resto d'Italia

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È proprio nella Capitale che si concentra la percentuale più alta dei cosiddetti prescritti, addetti al Servizio sanitario pubblico, esonerati da guardie, turni e contatti con i malati. Si tratta di assunzioni fatte come medici, ausiliari, tecnici e infermieri, per la maggior parte, che sfuggiti da turni stressanti e da nottate tra i pazienti, si trovano dietro una scrivania.

E’ quanto emerge dall’inchiesta condotta da Repubblica dal titolo “L’Italia degli imboscati”. Secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato si tratta di 16 addetti su cento (uno su sette), il doppio della media nazionale. E’ quanto accade nelle tre aziende ospedaliere, San Camillo, San Giovanni e San Filippo Neri (ormai declassato a presidio), all’Umberto I, il più grande policlinico universitario d’Europa e nella Asl del centro. Esoneri e non solo. Se a questi si aggiungono permessi, congedi parentali, assenze per patologie, la percentuale di fuga, lievita intorno al 20 per cento.

Al San Camillo di Roma, con 3mila 800 dipendenti in tutto, su 2mila 800 infermieri sono circa 500 gli esonerati dal lavoro per via dell’assunzione. Sono per lo più impegnati negli ambulatori diurni, nei servizi della Farmacia ospedaliera e dietro le tante comode scrivanie, distanti chilometri dalle stanze dei ricoverati. Non per ultimi tanti i benefici che la legge 104 offre ai disabili gravi e ai loro parenti. Utilizzata dal 13,5% dei dipendenti contro il 3,3% del settore privato.

Per il momento a nulla sono servite le proteste da parte di quanti sono costretti a lavorare per compensare le carenze di organico oppure i disservizi subiti dai malati.

Con il contratto 1998-2001 si fece un tentativo per sanare la situazione ma a nulla valse anche questo intervento. Il nuovo contratto stabiliva promozioni solo per chi era impegnato in prima linea ma, nel concreto non funzionò fallendo poco dopo. Come spiega Repubblica, oggi i servizi di assistenza diretta affidati alle cooperative sociali, ai cococo e alle partite Iva gravano sul Servizio sanitario del Lazio per oltre 250 milioni di euro. Una cifra enorme che ha vanificato il blocco del turnover imposto dal Piano di rientro dal deficit sanitario.

 

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