Il 26 gennaio va in scena sul palco del Teatro Vascello lo spettacolo teatrale “Casa di bambola” di Henrik Ibsen, adattato e diretto da Roberto Valerio con un fantastico cast di artisti composto da Valentina Sperlì, Roberto Valerio, Michele Nani, Massimo Grigò e Carlotta Viscovo.
Quando nel 1879 Casa di bambola fu rappresentato per la prima volta, il dramma suscitò scandalo e polemica ovunque per la sua lettura come esempio di un femminismo estremo; tanto che in Germania Ibsen fu addirittura costretto a trovargli un nuovo finale, perché la protagonista si rifiutava di impersonare una madre da lei ritenuta snaturata.
Ma, al di là di ogni contenuto polemico, il dramma resta opera di una grande e complessa modernità, abitata da personaggi capaci di parlare ancora ai nostri contemporanei.
Partendo da una nuova e attenta rilettura di questo grande classico di fine ‘800, attraverso una riscrittura e rielaborazione scenica del testo, si approda così ad uno spettacolo dove il centro è “il dramma nudo”, spogliato di bellurie ottocentesche e convenzioni borghesi.
Casa di bambola (1879) è un testo complesso e seducente che restituisce molteplici e potenti suggestioni. È l’intreccio dialettico di una crisi, di una transizione, di un passaggio, di un percorso evolutivo; è il ritratto espressionista di un disperato anelito alla libertà che crea però angoscia e smarrimento.
I personaggi si muovono in uno spazio scenografico spoglio/essenziale, sghembo, caricaturale, oscillando tra il sogno e la veglia, tra la verità e la menzogna, tra il desiderio e la necessità. Uno spazio onirico che trasfigura la realtà in miraggio, delirio, allucinazione, incubo. Una scena stilizzata per raccontare al meglio un desolante deserto relazionale ed esistenziale popolato non da volti ma da maschere che si apprestano a inscenare un dramma della finzione. Madre di tre figli piccoli, Nora è sposata da otto anni con l’avvocato Torvald Helmer, che la considera alla stregua di un grazioso e vivace animale domestico. E lei ‘sembra’ felice in questa sua gabbia familiare. Entrambi vittime della loro incapacità di comunicare realmente, entrambi intrappolati in ruoli che si sono vicendevolmente assegnati: lei consapevolmente confusa, lui ignaro e sentimentalmente analfabeta.
Alberga in Nora la consapevolezza repressa di essere stata costretta dal padre e dal marito a vivere nel sortilegio dell’infantilismo e dell’inettitudine. Ma quell’embrionale pallido incosciente rancore svanisce di fronte all’ideale di perfezione a cui ha ancorato l’immagine di Helmer; e così, la relazione tra i due è viziata dalla reificazione e dall’abuso, percepibile nel sottile confine che separa l’oltraggio dal gioco, l’acquiescenza dalla complicità, l’oppressione dalla devozione.
La portata tragicamente attuale di Casa di bambola si declina forse nell’ambiguità del finale. Solo immaginandoci Nora come una donna che vive, pensa, agisce nel nostro tempo presente, possiamo forse investire Casa di bambola di un significato ultimo che non tradisce il testo ma che è capace di parlare a un pubblico contemporaneo. (L’Unico)
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