Con la questione Ucraina torna a fare capolino l’antico sogno delle potenze occidentali d’assediare la Russia, di relegarla senza darle modo d’influire diplomaticamente in Europa. E se ai tempi della guerra di Crimea toccava a Napoleone III rifiutarsi di obbedire all’ordine inglese di radere al suolo Sebastopoli, oggi è Macron l’erede della politica distensiva verso la Russia. Sappiamo come l’occidente, oggi angloamericano, si sia sempre mostrato scettico verso le vie diplomatiche francesi.
Ma non dimentichiamo come un buon militare russo ascolti in silenzio una vocina che dal passato gli rammenta “mai più Sebastopoli”. Quest’ultima era la principale base navale russa del Mar Nero, luogo dell’unica sconfitta storica della Russia.
La guerra di Crimea, combattuta dall’ottobre 1853 al febbraio 1856, metteva la Russia imperiale contro l’alleanza tra Impero Ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna (neonata Italia). Il vero motivo? La scusa per i popoli era il controllo dei luoghi santi della cristianità tramite un accordo con i turchi. Di fatto era favorire il controllo britannico (oggi si direbbe occidentale) del Mediterraneo, scongiurando con una guerra l’espansione talassocratica russa. Austria e Prussia (Germania) appoggiavano politicamente la Gran Bretagna, e per la mai sopita disputa egemonica sui principati danubiani tra regnanti teutonici e russi.
La crisi in Crimea ieri ed il fronte ucraino oggi riportano in auge gli “scontri per procura” tra Usa e Urss al tempo della Guerra Fredda. I tempi sono cambiati, ed oggi dietro le quinte non c’è spazio per la diplomazia occulta che, al di là dei proclami ufficiali, lavorava per mantenere aperti i canali di comunicazione tra Washington e Mosca: oggi i signori delle multinazionali energetiche pretendono che l’Occidente s’appropri dell’Ucraina. Una visione prepotente e miope, in antesi con le trattative tra superpotenze che eravamo soliti osservare ai tempi di Nixon e Brežnev. Il connubio tra militari ed interessi delle multinazionali occidentali non ha dato buoni frutti e nemmeno prospettive di pace duratura. Non dimentichiamo che, l’invasione russa dell’Ungheria nel 1956, si deve ad una dichiarazione improvvida del presidente Eisenhower (già generale Usa): in quei giorni gli Usa erano più interessati agli sviluppi della Crisi di Suez che a sporcarsi le mani in una rivolta nell’Est Europa. Ma il presidente Usa dichiarava in pubblico “il cuore dell’America è a Budapest”. Così la Casa Bianca non faceva altro che confermare a Krusciov che gli americani non sarebbero mai intervenuti a sostegno del governo ribelle di Imre Nagy.
Poi nell’estate 1961 la teatrale minaccia di Kennedy a Mosca “Interverremo militarmente a difesa di Berlino Ovest” faceva capire ai sovietici che gli Usa, forse, avrebbero mosso guerra all’Urss solo per difendere le loro basi nell’ovest della capitale tedesca. Qualsiasi cosa fosse avvenuta a Berlino Est non avrebbe interessato Washington. Ma oggi la Casa Bianca è eterodiretta da un patto scellerato tra vertici del Pentagono e multinazionali.
Alla Casa Bianca non c’è più il democratico Obama o il repubblicano Trump, che osservano le antiche regole diplomatiche, c’è invece un presidente in balia dell’intesa tra militari e multinazionali energetico-finanziarie. Oggi non possiamo parlare di crisi tra Mosca e Washington, ma di appetiti a tal punto forti da non poter frenare il confronto.
La Guerra Fredda si combatteva con le parole, invece oggi siamo tornati al clima da Guerra di Crimea.
Gli “addetti ai lavori” ucraini e russi sanno che le pressioni di Putin sull’Ucraina sono giustificate quanto quelle del passato sulla Crimea.
Le multinazionali desiderano, per colonizzare l’Ucraina, che la situazione degeneri come nell’ex Jugoslavia. Oggi a Sebastopoli c’è il South Stream (il gasdotto che i russi hanno costruito sotto il Mar Nero, a largo delle coste ucraine) ed i colossi energetici occidentali ne vogliono il controllo insieme alle privative estrattive su suolo ucraino.
Le guerre si fanno sempre per soddisfare appetiti economici, ecco perché nel 1948, agli albori della Guerra Fredda, Harry Truman lasciava che Stalin si prendesse la Cecoslovacchia con un golpe: al di là delle dichiarazioni di facciata, non aveva materiale interesse ad intervenire a Praga, perché la Cecoslovacchia aveva secondo l’intelligence Usa dell’epoca “solo qualche violino d’epoca asburgica ed un po’ di cristalli vuoti”.
Putin oggi consiglia a qualche testa pensante di Washington di rileggere (anzi studiare) la “dottrina della sovranità limitata” di Brežnev. Perché appetiti e deliri non sono mai i migliori consiglieri, soprattutto Putin ha ricordato che la Russia non accetterà mai una nuova sconfitta di Sebastopoli.
Ruggiero Capone
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